La cantatrice calva

12932993_556326124534723_3840123914463229398_n

cropped-12472572_561285927372076_4835836125151562959_n.jpg
La compagnia

la-cantatrice-calva2   la-cantatrice-calva4

17038532_725168394317161_2198539888583933174_o  16996523_725168987650435_3951886827431731716_n

LA CANTATRICE CALVA
Regia di Claudio Gaj
Assistente alla regia Sofia Perissinotto

Con:
Fabrizio Crista
Claudio Gaj
Meli Lippolis
Valentina Penzo
Francesco Tornar
Eliana Zanetti

scene di Marco Ruggeri
supporto coreografico Cristina Spinetti

cropped-logo-associazione-granchio.jpg

produzione Granchio

La domanda che sorge spontanea è sempre la stessa: perché, in un’epoca costellata di promettenti nuove drammaturgie, di “études” e lavori “ispirati a”, di teatro di ricerca e di sperimentazione, affidarsi alle parole di un autore come Ionesco? Innanzitutto, perché a colpire di un testo del genere è la spiazzante universalità. I personaggi non comunicano tra di loro e sono, in un certo senso, interscambiabili, prigionieri di una parola che non appartiene più al loro mondo.
Cosa c’è di più simile al nostro mondo, che ha fatto della comunicazione una non-comunicazione, delle relazioni personali un tentacolare intrico di relazioni virtuali?
Tutti noi siamo la signora Smith, che pur di parlare intrattiene il marito per venti minuti sulla cena che entrambi hanno consumato. Noi ridiamo di questi personaggi mostruosi ispirati a certe stampe di Bosch, ma è un riso amaro: è come ridere di se stessi. Da qui l’idea di una scenografia modulare fatta di specchi che vengono continuamente manovrati in scena dagli attori, come in un immenso caleidoscopio, che diventano sedie, tavoli, porte, e alla fine si fondono in un unico immenso specchio in proscenio, in cui il pubblico si vede riflesso.
Tutti i personaggi sono stati costruiti a partire dall’osservazione di un animale e pur essendo umani – o quasi – di questo mantengono certe goffaggini, come i tic della signora Smith/Gallina, o le acrobazie della signora Martin/Scimmia.
A fare da contrappunto alla grottesca routine dei coniugi Smith e Martin le “maestranze”: il pompiere e la cameriera Mary, che con il loro travolgente riconoscimento («è stata lei a spegnere i miei primi fuochi» // «Sono il suo spruzzetto d’acqua») rappresentano l’antitesi del mondo borghese delle due coppie, fatto di silenzi imbarazzati e noiosissimi aneddoti. Per esaltare questa estraneità dei due personaggi, sono stati inseriti due monologhi di presentazione in cui i due attori si spogliano del personaggio e si raccontano, producendo una sorta di straniamento. Mary, che sa tutto di tutti, ma non è abbastanza borghese per raccontare aneddoti, nella nostra rappresentazione è una specie di demiurgo in lattice e frusta, una polivalente Dea della Realtà, da cui tutti sono terrorizzati, e che ogni volta che viene nominata scatena, come omaggio a Mel Brooks, i nitriti dei cavalli.

13238910_10154163897073698_527176026775985726_n 12079048_10154163897233698_6531074185423263490_n 13237876_10154168923918698_1123811622969714637_n 13263897_10154168924013698_134562604435312981_n 13322032_10154170771678698_274788433508916000_n 13267744_10154170760808698_6694702916866009644_n